Non credo che sarei una brava traduttrice se non avessi lavorato così a lungo come interprete, e viceversa.
Nella mia esperienza personale l’interpretariato è il momento in cui verifico se quei traducenti a lungo ricercati sono effettivamente usati nella lingua (specialistica) parlata in un determinato settore.
Sorrido ancora al ricordo del primo corso per meccanici al Corriere della Sera di Milano, nel lontano 2005, quando il responsabile dei manutentori mi suggerì di usare il termine «encoder» anziché «trasduttore di velocità angolare» per tradurre dal tedesco Drehgeber («Noi lo chiamiamo così, e servono meno parole»): da quel giorno ho capito che meccanici ed elettricisti sarebbero diventati i miei migliori alleati.
Amo gli interpretariati tecnici perché si basano:
- su contenuti concreti e tangibili che devono essere trasmessi con esattezza;
- sulla fiducia che si instaura col proprio interprete.
Durante le installazioni mi sono sentita parte di tante grandi famiglie e sono cresciuta nel mio ruolo di mediatrice tra gruppi di persone che collaborano per un fine comune.
E non da ultimo: mi sono divertita!
Quanti possono dire di conoscere le diverse traduzioni gergali di alcuni termini tecnici di stampa come «Einziehspitze»? Si tratta, letteralmente, di una «punta d’introduzione» usata per l’inserimento del nastro di carta all’interno di una macchina da stampa a bobina, ma diventa «calamita» sulle rotative manroland perché usano punte con banda magnetica e a Napoli è il….«baccalà»!
Anche questa è localizzazione.
Traduco con disinvoltura argomenti inerenti a meccanica, elettronica, pneumatica, automazione industriale, tecnica degli azionamenti, schemi elettrici e IT.
Sono un’interprete di trattativa (non simultaneista), traduco pertanto per piccoli gruppi di persone in occasione di training tecnici o per gruppi più numerosi durante seminari e workshop.
Inoltre lavoro a fianco dei miei clienti durante incontri di affari e visite a discariche/impianti di smaltimento o recupero.